Maddalena Berliat
con
Clara Scropetta
Sostenibilità. Un termine inflazionato, abusato, eppure sensato, pertinente, necessario. Erano gli anni novanta e i vegetariani , perlomeno in una provincia italiana retrograda e tradizionalista, erano ancora visti come una rarità (lo saranno ancora?), come un'eccezione alla regola.
Ora, in un 2021 evoluto in materia di ecologia come un bravo scolaro che ha fatto tutti i compiti a casa memorizzando le quartine (ma le avrà comprese?), dichiararsi vegani per scelta etica ed ecologica è compreso o quantomeno accettato.
Abbiamo imparato a riconoscere l'importanza dell'impatto dei nostri piccoli gesti quotidiani, ad ammettere che alcune leggerezze non possono più essere tollerate.
Oggi, possiamo schierarci, senza timore di rappresentare una minoranza, schierarci fieramente in difesa di quelle che sono riconosciute come scelte più giuste di altre, più sostenibili, a optare per la soluzione a minor impatto, a battagliare per un "minor male" per il pianeta, il clima, la natura. Lo insegnano la tv, le pubblicità che ammiccano al nuovo trend, i laboratori scolastici, i libri per bambini, gli opuscoli sui treni, i film, le fiction, i documentari.
Ma. Un grande assente, il capitolo legato alla nascita. La nascita, il come mettere al mondo un bambino, e la sua gestione nei primissimi mesi e giorni, sembrano esenti da numerosi ragionamenti che hanno influenzato tutte le altre fette della vita (e del marketing).
Ne ho parlato con Clara Scropetta, che anche questa volta ha accettato con entusiasmo di inaugurare una nuova serie di articoli a tema nascita per il prossimo anno. Una delle voci italiane più radicali sul tema, l'unico tema sul quale sembra non politicamente concesso d'essere radicali.
Dedicare uno spazio alla nascita penso sempre sia un modo irrinunciabile di parlare di sostenibilità, ecologia, di un tanto chiacchierato stile di vita "green". Eppure socialmente non è riconosciuto ancora come un tassello fondamentale del cammino dell'uomo verso un futuro più sostenibile, come mai?
Francamente me lo chiedo anch'io! Mi sembra che sia ancora, per certi versi, un tema "tabù". Se ne parla, soprattutto in termini di scelta tra due orientamenti "contrapposti", si confronta la situazione attuale con al massimo quella degli ultimi secoli; alcuni riconoscono possibili correlazioni tra ciò che accade all'inizio della vita e ciò che accade più tardi. Nel complesso mi sembra risulti difficile superare una prospettiva individuale e rendersi conto che riguarda l'intera società. Inoltre, risulta difficile porsi domande che mettono in discussione le basi stesse della nostra civiltà.
Cosa si intende per ecologia della nascita?
Comprendere le possibili conseguenze delle interferenze con i processi fisiologici all'inizio della vita, sulla salute e sul comportamento, a livello individuale e collettivo, e cosa possa significare ridurle il più possibile, anche in merito al rispetto per Madre Terra.
Come nasce in media l'essere umano oggi?
Riporto le semplici parole di Michel Odent: il numero di donne che partorisce "da sé", ovvero con i propri ormoni dell'amore, così come il numero di creature che immediatamente alla nascita viene colonizzato dal microbioma materno, sta diventando insignificante. Mai nella storia dell'umanità il periodo attorno alla nascita è stato altrettanto socializzato e medicalizzato.
Come muore in media un essere umano oggi?
Mai nella storia dell'umanità il periodo attorno alla morte è stato altrettanto socializzato e medicalizzato. Si potrebbe parlare di espropriazione culturale e istituzionale sia dell'inizio sia della fine della vita.
Il luogo, le modalità, i tempi di nascita, tutto nelle strutture deputate al parto rema spesso contro la fisiologia. Tanto che molte famiglie finiscono per allontanarsi dalla realtà ospedaliera in modo anche imprudente e altre al contrario ci si aggrappano poiché le alternative non sono percepite come sicure, riconosciute, e la storia di quelle coppie non concede loro gli strumenti per potersi muovere con disinvoltura in un terreno meno battuto. Magari al primo figlio, magari senza una rete sociale di supporto.
La donna è davvero libera di scegliere se fare della propria gravidanza un'esperienza sostenibile, fisiologica, "naturale"?
Il problema, dal mio punto di vista, è che sia considerata una questione di scelta personale. Proteggere l'inizio della vita secondo me è una priorità sociale. Si tratta di guardare al futuro dell'umanità a lungo termine, non solo a breve termine, chiedendosi che ne sarà della settima generazione. I bisogni fondamentali della donna e della creatura prima, durante e dopo la nascita dovrebbero far parte della cultura generale di ognuno.
Avvicinare. La recente pandemia ha portato alla luce l'importanza anche a livello sociale delle cure domiciliari come risorsa. Eppure nell'ambito della nascita, come in molti altri, sono spesso esclusiva di chi può permettersi cure private a pagamento.
Rafforzare il sistema di cure domiciliari può essere un modo per far evolvere la situazione?
Finché non viene compresa la fisiologia del parto, temo che non avrà grande impatto, per quanto, generalmente parlando, in casa più frequentemente i bisogni fondamentali della donna e della creatura vengono rispettati. Ma non necessariamente, e non fino in fondo. Finché si continua a credere che una donna debba essere aiutata a partorire, nonostante si affermi il contrario, ovvero che "lei sa partorire", e finché si continua a interferire con il primo contatto tra madre e creatura, nonostante si affermi di volerlo tutelare, "permettendo" il skin-to-skin, in breve finché non si coglie l'importanza dell'intimità, temo che non avverrà il radicale cambio di rotta che mi auguro.
"Tutte belle parole ma io se penso al parto penso anzitutto alla sicurezza, non all'ecologia" , potrebbe essere la lecita risposta di una donna incinta o di un padre preoccupato. Uno sguardo miope forse, ma giustificabile e supportato da decenni di comportamento medico. Il focus sulla sicurezza nell'ultimo anno ha poi nettamente preso il sopravvento su ogni logica.
Come togliere la paura?
Tale paura è giustificata. Interferire con i processi fisiologici rende il parto più difficile e lungo, e di conseguenza più rischioso. Stiamo interferendo da molto più tempo di quanto normalmente si immagina, anche se è vero che il tipo e l'entità dell'interferenza è cambiato. Laddove fino a poco meno di un secolo fa ciò si rispecchiava in una mortalità materna e neonatale relativamente elevata, ora si rispecchia in un tasso di interventi farmacologici e chirurgici estremamente elevato. Poche persone sanno che quando una donna si sente al sicuro, non osservata, in un ambiente poco illuminato, silenzioso, caldo e intimo, il parto risulta più facile e rapido, e di conseguenza più sicuro. Siamo così abituati al parto socializzato, che quasi nessuno riesce a concepire come ciò potrebbe essere una deviazione di percorso, vale a dire che non è da escludere che le donne, come ogni altra femmina mammifera, nel lontano passato si isolassero per partorire. Non ci si sofferma sul fatto che anche oggi, a volte, capita e non ci si interessa abbastanza a come si svolge la nascita in tal caso.
Maggiore conoscenza e minore paura. Maggior fiducia nel corpo femminile e nella fisiologia, minor fede nell'istituzione di riferimento.
È davvero l'empowerment femminile la chiave per l'umanizzazione della nascita nei prossimi anni?
Il cambio di paradigma dipenderà da una presa di coscienza collettiva e preferisco chiamarlo "normalizzazione", piuttosto che umanizzazione. Se riguarderà maggiormente le donne non lo so, e neppure quando si produrrà. Di certo le donne sono implicate in prima persona, in quanto è il loro corpo a vivere queste esperienze ed è il loro corpo a portarne, fin troppo spesso, le cicatrici. La maggior parte delle donne di oggi diventando madre perde l'integrità fisica. Quindi sono senz'altro più motivate ed è un bene che finalmente si parli di abuso, fisico ma anche psichico ed emotivo, della donna madre, che va di pari passo con l'abuso della creatura nel suo grembo, mentre nasce e nelle sue braccia.
Inoltre, il processo fisiologico che inizia al momento del concepimento e, attraverso gestazione, travaglio e parto, sfocia nell'accudimento materno, include una riduzione dell'attività neocorticale. Di conseguenza, le donne sono più predisposte ad abbandonarsi ai processi fisiologici e a sentire istintivamente l'impulso di proteggerli. Ciò può spingere a tenersi alla larga da interferenze, che vengono "percepite" come dannose.
Quindi non è da escludere che le donne potrebbero avere un ruolo chiave.
Sguardo dall'alto. Quali sono le realtà, i professionisti che sul territorio internazionale stanno facendo la differenza facendo ricerca e operando per rendere la nascita più sostenibile, umana, per difendere la fisiologia umana anche a discapito dei protocolli e per educare all'ascolto su questi temi?
Mi interesso assiduamente al primo periodo della vita, nascita inclusa, da ventun anni. Ho avuto l'opportunità di incontrare tanti professionisti, considerati di grande calibro, in tutti e cinque i continenti, oltre ad aver letto innumerevoli testi raccomandati sul tema. Continuamente mi informo, mi aggiorno, mi confronto. Alla fine, pur apprezzando e rispettando il contributo di tutti quanti si adoperano per un miglioramento della situazione, mi ritrovo a segnalare ancora soltanto Michel Odent.
Per quel che ne so, ai miei occhi, l'unico a cogliere l'essenziale, a saperlo rendere in modo semplice e incisivo e a "walk his talk": camminare le sue parole.
Il lavoro scientifico e culturale di chi si batte per una difesa netta dei bisogni primari di madre e figlio può essere letto come schierato, univoco. La nascita indisturbata una forzatura, un'eccezione inapplicabile come esempio.
Eppure se in altri ambiti abbiamo imparato ad accogliere le parole e l'operato dei puristi come eccezioni da apprezzare, nell'ambito della natalità siamo ancora riluttanti, abituati per tradizione a lasciarci condizionare dal peggio anziché lasciarci ispirare da un meglio.
Il pensiero che da generazioni le interferenze stiano danneggiando la nostra esperienza di nascita e parto è un pensiero infame che delude e intristisce.
Accettiamo ormai per tradizione interventi e interferenze mediche in campo materno infantile con l'indulgenza che abbiamo smesso di avere davanti alle bistecche del discount. E questo, oggettivamente, non ha alcun senso.
La materia nascita tocca poi sempre, comunque, corde delicate che sono quelle legate a inconscio, storia personale, legami. E' naturale, ovvio, che il cambio di rotta sia lento, faticoso.
Può l'aspetto ecologico della questione aiutare una presa di coscienza più rapida, stimolare una curiosità e una criticità più accese?
Ricordo che anni fa una copertina de L'Internazionale titolava in tempi non sospetti "i vegani salveranno il mondo?" , spiegando il nesso tra cibo e ambiente che abbiamo imparato ormai a riconoscere.
Ora occorre spostare l'attenzione ancora più indietro, ad ambiti più intimi e viscerali, occorre guardare ancora più a fondo e riconoscere un nesso importante, innegabile tra nascita e ambiente.
Come può influire più positivamente sull'ambiente una nascita fisiologica rispetto a una medicalizzata? In che modo cambia l'impatto ambientale a breve e lungo raggio?
Compreso ciò dichiarare l'urgenza di una nascita più ecologica e di un approccio più sostenibile, con meno compromessi, sarà la prossima sfida sociale.
E se verrà un tempo in cui le interferenze mediche superflue sul luogo di nascita verranno bannate socialmente come l'olio di palma sui vasetti di cioccolata, noi potremo dire di avervi avvertiti per tempo.
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